Leggi l’articolo ascoltando il brano del film: It’s a Process

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Chiedere ad un cinefilo quale sia il suo film preferito è un pò come chiedere se vuoi più bene a mamma o a papà. O scegliere tra Gandalf e Silente. O tra una torta sacker e la cheescake.
Se è normale sostenere come ogni film sia un’opera a sé, non lo è affatto credere come possa esisterne uno universale. Ci sono generi così differenti e singolari che, a parere di chi scrive, è quasi un’offesa al Cinema pensare di eleggere un’opera come caposaldo di un’intera arte. Come se tutta Roma si riducesse al solo Colosseo. Certamente ci sono capolavori personali e meraviglie banalizzate, ma ai fanatici questo discorso credo non importi granché.

Perciò, il titolo da me scelto per questa undicesima sfida, è uno della mia cinquina personale segreta di opere che, diciamo così, continuerei a riguardare senza annoiarmi mai. Forse perché Moneyball di Bennett Miller, passato sotto silenzio in Italia, parla di un grande perdente; e sotto sotto facciamo sempre un pò il tifo per lo sconfitto. Oppure perché è un bel film dove si mescolano l’epica dello sport delle battaglie da giocare e la sensazione di rivincita del “soli contro tutti”; contro istituzioni, modi di pensare, convinzioni. Moneyball non sarà il film manifesto del Cinema, ma sa essere un grande esempio di come raccontare una storia improbabile e forse noiosa in modo avvincente e insegnare una piccola ma grande lezione di vita.

Fasi finali della stagione 2001 dell’American League di baseball. I modesti Oakland Athletics sono arrivati fino ai playoff della propria divisione, ma vengono sconfitti dai New York Yankees. Il gap tra le due squadre infatti è troppo alto: la rosa del General Manager Billy Beane (Brad Pitt) non può competere con i budget stratosferici delle altre. Quando all’inizio della stagione successiva Beane vede i suoi migliori giocatori andare via, deve fare i conti tra le sue ambizioni e i pochi soldi a disposizione di squadra di mercato minore per sostituirli. Durante un incontro con i Cleveland Indians, conosce Peter Brand, un giovane laureato in economia a Yale e dalle idee rivoluzionarie su come valutare la qualità dei giocatori. Nonostante le opposizioni dello staff e della squadra, le teorie di Peter, appoggiate da Billy, portano a risultati insperati cambiando le vite di tutti…

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Prodotto dagli autori di The Social Network e basato sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, il film di Bennett Miller è il resoconto di quella storica stagione del 2002 degli Athletics, in cui una coppia di dirigenti ebbe il coraggio di reinventare lo sport, usando delle teorie matematiche di Bill James già note ma ostracizzate dai pregiudizi dell’ambiente. Con pazienza, tenacia e fermezza nella forza delle proprie idee. Ma la storia non ruota soltanto al dilemma delle statistiche o delle persone. E’ una grande metafora di vita e di analisi della collettività, americana e non solo. In un moderno Davide contro Golia, il film spazia dalle dinamiche economiche e dirigenziali a quelle sul diamante verde del campo di gioco, fino ai trascorsi passati di uno sfuggente Bean.

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E volendo fare un gioco nel replicare il “modello MoneyBall” al film, l’opera di Miller è un elogio al lavoro di squadra e all’equilibrio e ricchezza tra le parti. Ciascuna di esse funziona a meraviglia: dal protagonista Pitt all’ex spalla comica Jonah Hill nelle vesti dell’assistente, con personaggi secondari ma estremamente carismatici grazie ad attori superlativi come il compianto Philip Seymour Hoffman e Chris Pratt. La messa in scena di Miller è pulita quanto ispirata, supportata da una fotografia elegante di Wally Pfesiter. Ma soprattutto la variabile vincente è la sceneggiatura. Scritta da mostri sacri come Aaron Sorkin e Steven Zaillian – autori di titoli come Schindler’s List, The Irishman, Codice d’Onore e The Social Network -, essi raccontano l’ambiente politico dietro il campo verde fatto di determinazione e disumanità e del modo di ragionare di queste vere aziende dello sport. Non solo: scaramanzia, comicità e introspezione si mescolano nel vissuto dei personaggi, regalando degli sviluppi drammaturgici ben calcolati e potenti come il finale del film.

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In un archetipo narrativo classico della redenzione, di ascesa e caduta, il percorso emotivo di certi personaggi porta dunque a rimanere aggrappati alle speranze del GM e a conoscere l’esito della stagione. E durante la visione emerge anche la tensione umana – e in questo caso pure sportiva – di raggiungere sempre l’eccellenza come un lavoro sinergico tra le singole parti. Così l’alchimia numerica delle parti, secondo Miller e Sorkin/Zaillian, costruisce anche la conoscenza di un rito collettivo, storico e culturale nascosto al pubblico sugli spalti. Una poetica antropologica, quella di Miller, che porterà avanti anche nel successivo Foxcatcher – una storia americana. Evitando di scivolare nei cliché di genere e offrendo un nuovo modo di usare lo sport come chiave di lettura della contemporaneità.

Candidato a sei premi Oscar e purtroppo sconosciuto ai più a causa del tema trattato, in quanto il baseball è poco seguito in Italia, Moneyball è un piccolo gioiello di scrittura e intrattenimento, di batoste sul campo e di rivincite morali. L’epica dello sport diventa contenuto e pretesto per raccontare il coraggio di andare avanti quando il mondo è tutto contro di te. Ma anche simbolo della volontà di accettare la sconfitta come il rovescio della medaglia della vittoria più grande: l’ambizione a migliorarsi ogni giorno per ciò che si ama.

Top&Flop

Top: Una sceneggiatura di ferro e ben calibrata, una fotografia elegante e una regia sobria ma intelligente per un’epica inusuale e intrigante sullo sport e le seconde possibilità.
Flop: Per chi non conosce le regole del baseball può essere complicato seguire alcuni passaggi del film pieni di tecnicismi del gioco o di affari di mercato.

La frase

Peter Brand: «Le persone a capo delle squadre pensano solo comprare giocatori; ma lo scopo non dovrebbe essere comprare giocatori, dovrebbe essere comprare delle vittorie. E per comprare vittorie lei deve comprare punti».
Billy Beane: «Yale, economia, baseball. Sei strano, Pete».

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